La stanza bianca - Veneto Trasgressiva

Nel cuore di Trapani, dove il sole si tuffa ogni sera nel Mediterraneo e l’aria profuma di salsedine e limoni, Elena viveva intrappolata in una calma apparente. Terapeuta di 38 anni, divorziata e lucidamente sola, passava le giornate ad ascoltare i dolori degli altri, mentre il suo corpo restava in silenzio da anni.
Elegante, composta, intoccabile: così la vedevano. Nessuno avrebbe immaginato che sotto quella corazza ardesse un fuoco inesplorato.

Era da tempo che le notti si assomigliavano tutte: lenzuola fredde, silenzi carichi e il vuoto tra le gambe. Ma una notte, Elena decise che bastava. Aveva sentito parlare di Nadia, escort trapanese con un tocco che molti definivano “quasi terapeutico”.
Trentacinque anni, sguardo affilato e femminilità avvolgente, Nadia era conosciuta per la sua capacità di trasformare il sesso in un rito di risveglio.

Elena la chiamò. La voce tremava, ma la scelta era chiara.

Quando Nadia varcò la soglia del suo appartamento, Elena sentì l’aria cambiare. Un’eleganza senza sforzo, un abito che accarezzava il corpo e uno sguardo che leggeva dentro. Le parole furono poche. I corpi, invece, iniziarono subito a parlare.

Nadia si avvicinò e le sfiorò il collo con le dita, poi le labbra. Un bacio leggero, come un’iniziazione. La spogliò con lentezza, come si spoglia una verità.
Elena tremava, ma non si tirava indietro. Era viva.

Davanti allo specchio, Nadia la guidò. Le mostrò come toccarsi. Le fece guardare le proprie mani scivolare sui seni, sul ventre, fino al centro di sé.
Elena scoprì il piacere di sentire il proprio clitoride gonfiarsi sotto la punta delle dita, mentre gli occhi di Nadia la fissavano, accesi.

«Ti piace?», sussurrò Nadia, sfiorandole le labbra.
«Mi piace da morire», ansimò Elena, sorpresa da sé stessa.

Nadia si inginocchiò. Le baciò l’interno coscia, poi salì, lenta. La lingua esplorava, leccava, succhiava con maestria. Elena gemette, affondando le mani nei capelli scuri di Nadia. I gemiti si fecero grida. L’orgasmo arrivò come una tempesta improvvisa.

«Nadia! Dio… sì!»

Il corpo si inarcò, le gambe si chiusero e poi si aprirono ancora.
Ma Nadia non si fermò.

La distese sul letto, le gambe spalancate in un invito totale. Con dita esperte, la penetrò. Prima lente, poi più decise, trovando quel punto preciso che faceva tremare tutto il corpo di Elena.

«Ti sento… oh cazzo, ti sento così tanto…»
Il secondo orgasmo fu ancora più violento. Un’ondata che spazzò via anni di silenzio, di paura, di repressione.

Quando tutto si fermò, Elena giaceva esausta, il corpo bagnato di sudore, ma il cuore finalmente pieno. Nadia si sdraiò accanto a lei, il respiro che si calmava, la pelle contro pelle.

«Sei incredibile,» sussurrò Elena, stringendole la mano.
«E tu sei stata pronta,» rispose Nadia, baciandole la fronte.

Restarono abbracciate a lungo, nude e senza più difese.

«Non voglio che questa notte finisca,» disse Elena.

Nadia le accarezzò la guancia. «È solo l’inizio. Perché la vita è troppo breve per non godersi ogni singolo momento.»

Quando il sole inondò la stanza, Elena si svegliò per prima.
Nadia dormiva ancora, nuda tra le lenzuola, il corpo rilassato.
Elena si alzò e si guardò allo specchio.
E vide una donna diversa.
Una donna viva.

Più tardi, bevendo un caffè insieme, non parlarono del futuro. Non ne avevano bisogno.
Nadia la baciò un’ultima volta prima di uscire. Un bacio che non chiedeva nulla, ma lasciava tutto.

Elena rimase immobile sulla soglia.
Poi sorrise.
Aveva appena aperto una porta che non intendeva più chiudere.

Il corpo era sveglio.
Il cuore, finalmente, pronto a sentire.
Trapani, tardo pomeriggio. Il cielo era di un blu denso, e la luce si rifrangeva sulle pareti dello studio di Elena come se ogni cosa volesse risplendere. L’ambiente era raccolto, curato. Un divano in pelle chiara, scaffali ordinati, odore di cera e bergamotto.

Elena sedeva alla scrivania, il viso calmo, i gesti misurati. Ma il cuore le batteva più forte del solito.
Alle 18 in punto, Nadia varcò la soglia.

Vestita in jeans e camicia bianca, i capelli raccolti in un nodo morbido, Nadia entrò con passo lento, ma lo sguardo aveva la stessa intensità della notte che avevano condiviso.
Elena si alzò per accoglierla. Non c’erano baci. Non ancora. Solo un silenzio pieno di promesse.

«Avevo bisogno di parlare con te,» disse Nadia, sedendosi. «Di mettermi nuda… ma in un altro modo.»

Elena sorrise. «Allora cominciamo.»

La seduta iniziò come tante. Nadia parlava lentamente, raccontando pezzi di sé che non aveva mai detto a nessuno. Il sesso, il mestiere, l’indipendenza che a volte era una maschera per la solitudine. Elena ascoltava, ma dentro di sé, ogni parola era come una carezza. Una fessura che si apriva nella corazza di Nadia.

Poi qualcosa cambiò.

Nadia smise di parlare. Si alzò. Si avvicinò a Elena.

«Sai qual è il mio vero trauma?» disse. «Sentirmi vista e desiderata da una persona che non posso toccare.»

Elena non si mosse. Ma il respiro si fece più corto. «E se non fosse proibito?»

Un silenzio. Poi Nadia si sedette sulle sue ginocchia, con una lentezza quasi religiosa.
Le mani di Elena si posarono sulle sue anche.
La camicia si aprì da sola.

Sotto, niente. Solo pelle.

Nadia si abbassò la zip dei jeans, e quando si spogliò completamente, Elena sentì la mente cedere. La terapeuta lasciò il posto alla donna.

«Adesso io ti ascolto,» disse Nadia, strusciandosi contro di lei.
«Mi vuoi?»

«Sì,» ansimò Elena, «più di quanto riesca a dirlo.»

Nadia la baciò. Un bacio affamato, profondo, che divorava le distanze. Elena rispose con la stessa fame. Si alzò, la spinse dolcemente sul divano e si inginocchiò tra le sue gambe, separandole con le mani tremanti.

«Voglio impararti tutta.»

La lingua di Elena incontrò la figa già calda e bagnata di Nadia. L’odore era dolce, intenso, selvaggio. Leccò lentamente, poi affondò con ritmo crescente, mentre Nadia si aggrappava al divano, il respiro spezzato, i fianchi che si muovevano cercando di assorbirla tutta.

«Oh Dio, Elena… continua… non fermarti…»

Elena la leccava come se avesse sete, la lingua che tracciava cerchi sul clitoride, le dita che si infilavano lentamente dentro, trovando il punto perfetto.
Nadia gemeva forte, il corpo scosso da scosse rapide, violente.

L’orgasmo esplose in un grido, e Nadia venne tremando, il corpo che si inarcava sul divano, la pelle lucida di piacere.

Ma non era finita.

Elena si alzò, le mani tremanti. Nadia si rimise in ginocchio e le slacciò i pantaloni. La baciò sul ventre, poi tra le cosce. Con una lentezza crudele, iniziò a leccarla. La sua lingua esperta trovò subito il punto, e quando le dita entrarono dentro, Elena gemette senza pudore.

«Oh sì… Nadia… ti prego…»

Nadia la leccava guardandola negli occhi, e quando Elena venne, fu un orgasmo lungo, profondo, che le fece tremare le gambe. Si lasciò cadere sul divano, Nadia le salì sopra, nude, i seni che si sfioravano, le mani intrecciate.

Restarono così. A respirarsi. A toccarsi il viso. A guardarsi.

«Ti sei mai innamorata di una tua paziente?» chiese Nadia, con un sorriso appena accennato.

Elena sorrise. «No. Ma potrei cominciare adesso.»

Nadia si chinò a baciarla. Questa volta fu un bacio lento, tenero. Il sesso era stato l’inizio. Ma ora c’era altro.

Le gambe intrecciate, i corpi nudi, il tramonto fuori dalla finestra.

Era la loro seconda notte insieme.
Ma sembrava la prima.

Non c’erano più ruoli.
Solo desiderio e verità.

Quando, ore dopo, dormirono nude sotto la coperta dello studio, Elena capì che quel piccolo spazio, una volta così professionale e ordinato, era diventato un tempio.

Non di terapia.
Ma di rivelazione.

E mentre stringeva Nadia tra le braccia, le dita intrecciate alle sue, capì che a volte, l’unica cura possibile… è lasciarsi andare.

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