- Pubblicata il 30/07/2025
- Autore: Chiara
- Categoria: Racconti erotici lesbo
- Pubblicata il 30/07/2025
- Autore: Chiara
- Categoria: Racconti erotici lesbo
Dita sporche di colore - Veneto Trasgressiva
In una sera di fine estate, l'aria di Lucca vibrava di creatività e desiderio. Le strade acciottolate erano percorse da un’energia elettrica, e nel cuore della città, tra le antiche mura illuminate da luci calde, una piccola galleria si stagliava come un gioiello. Lì, Chiara, pittrice trentacinquenne dal talento indiscusso, stava presentando le sue ultime opere: tele che sembravano vive, cariche di pulsioni, forme e colori che respiravano, toccando le corde più intime dello spettatore. Il suo fisico snello e le curve morbide sotto un abito nero macchiato di vernice attiravano sguardi, ma il suo sguardo rimaneva assorto, concentrato, fino a quando non incrociò lei.
Tra i visitatori, una figura si stagliava con magnetismo puro: Valeria, escort dominatrice lesbica, poco più che quarantenne, dal look androgino, completo nero aderente e sguardo feroce. Il taglio corto dei capelli le metteva in risalto i lineamenti decisi e sensuali, e ogni suo passo sembrava un invito, una minaccia, un ordine silenzioso.
"Il tuo lavoro è incredibilmente viscerale," disse, avvicinandosi a Chiara con voce calda, profonda, leggermente roca. "Ma dimmi... quanto di te finisce davvero in queste tele? Quanto della tua carne si fonde con l’arte?"
Chiara la guardò, colpita da quella presenza tagliente come un bisturi e sensuale come un lenzuolo di seta sulla pelle nuda. "Forse più di quanto immagini," rispose con un sorriso ambiguo.
"Allora forse è ora di portare questa fusione oltre la tela."
Lo disse senza ironia, senza fretta. Era una proposta e un comando. E Chiara, già umida sotto l’abito, accettò con uno sguardo.
Si incontrarono il giorno dopo nello studio di Chiara, un caos affascinante di tele incomplete, schizzi sulle pareti, e il profumo di trementina mescolato a quello della sua pelle. Valeria arrivò puntuale, con un completo blu notte su una camicia sbottonata quel tanto che bastava a far intuire il seno fasciato da un reggiseno in pizzo scuro.
Chiuse la porta con calma, guardò Chiara e disse: “Oggi sarai la mia tela. E io il tuo strumento.”
Con eleganza fredda e precisione chirurgica, Valeria le si avvicinò, sfiorandole la guancia con un dito e poi scendendo lentamente lungo il collo. Le mani si mossero decise sulle fascette degli acquerelli, legandole i polsi dietro la schiena. Chiara gemette piano: era il tipo di costrizione che sapeva di controllo, ma anche di fiducia, di resa.
“Guardami mentre ti uso,” sussurrò Valeria, spingendola contro una parete bianca, “e impara cos’è il vero possesso.”
Senza preavviso, prese un pennello grosso, lo intinse in un olio denso e profumato e lo passò tra le gambe di Chiara, sfiorandole il clitoride con la punta metallica. La sensazione fredda del metallo unita al calore crescente del piacere la fece fremere, un gemito secco le sfuggì dalle labbra mentre il pennello cominciava a muoversi, lento e insistente.
“Ti piace, vero?” mormorò Valeria, mentre le sue dita esperte scivolavano dentro di lei, cercando il punto esatto dove il piacere si trasformava in dipendenza.
Chiara ansimava, piegata in avanti, i seni nudi sfioravano la tela ancora bianca. La pittura colava dalle sue cosce, e la sua bocca era un’esplosione di respiri spezzati. “Dipingimi...” sussurrò Valeria. “Dipingimi con il tuo piacere.”
Con le mani tremanti, Chiara afferrò un pennello con la sinistra e cominciò a ritrarre Valeria sulla tela, mentre le dita della donna la penetravano con ritmo crescente. Ogni colpo sulla tela era una scossa, ogni pennellata un gemito. Il ritratto che emergeva era un incubo erotico e bellissimo, un volto dominatore e occhi come fiamme. Il piacere cresceva, inarrestabile, come una marea.
Valeria aumentò la pressione con la mano destra, mentre con la sinistra stringeva i capelli di Chiara e la costringeva a guardarla negli occhi. “Voglio sentire il tuo orgasmo esplodere sulla tela,” ringhiò.
E Chiara esplose.
Urlò, inarcando la schiena, la pittura schizzata ovunque, l’orgasmo devastante come una scarica elettrica. Rimase qualche secondo immobile, tremante, con il cuore che martellava in gola.
Valeria si sciolse i bottoni della camicia, si liberò dal completo, si avvicinò e disse: “Ora tocca a me.” Spinse Chiara sul divano e si inginocchiò tra le sue gambe ancora divaricate, la lingua affamata esplorò ogni angolo della sua femminilità. Le leccate erano lente, profonde, alternate a morsi leggeri sul clitoride, mentre due dita la penetravano ancora, stavolta con delicatezza, come per raccogliere l’eco del piacere appena passato e trasformarlo in qualcosa di nuovo.
Chiara gemeva di nuovo, più dolcemente, mentre il corpo ondeggiava sotto la lingua precisa e dominante della sua amante. Si sentiva posseduta, venerata e consumata.
Quando finalmente si staccarono, nude, sudate e appagate, si guardarono come due artiste che hanno appena finito un capolavoro.
“Questo,” disse Valeria mentre si rivestiva con calma, “è solo l’inizio. L’arte è lunga. E la carne... oh, la carne non mente mai.”
Chiara rimase lì, ancora nuda, lo sguardo fisso sulla tela. Un ritratto erotico e potente, un orgasmo intrappolato nel colore.
E sorrise.
Sono passati alcuni giorni da quella sera nello studio. Le dita di Valeria, la sua lingua, i suoi comandi… tutto viveva ancora nella carne e nei sogni di Chiara. Le pennellate erano diventate più violente, il colore più sporco, più erotico, più vivo. Ogni tela, ogni tratto di rosso, di nero, di ocra, era un frammento del piacere che quella donna le aveva scolpito nel corpo.
Poi, una sera, un messaggio secco sul telefono:
“Vieni tu da me. Porta solo il tuo corpo e il tuo desiderio.”
Niente altro. Niente indirizzo, niente ora. Ma Chiara sapeva. L’aveva già desiderata troppo per non riconoscerne la voce anche scritta. Era un giovedì. L’ultima luce del giorno accarezzava i tetti di Lucca mentre Chiara, avvolta in un cappotto lungo e senza niente sotto, saliva le scale di un vecchio palazzo del centro.
La porta era socchiusa. Entrò.
L’appartamento era essenziale, dominato da un’ampia stanza con un letto basso, candele accese ovunque, odore di cuoio e gelsomino. Valeria la stava aspettando in piedi, nuda, con un’imbracatura in pelle nera che le cingeva il busto e un harness sottile a sorreggere un fallo realistico, lungo e scuro.
“Chiudi la porta. Spogliati. Vieni qui a quattro zampe.”
La voce era calma, ma lasciava poco spazio a interpretazioni. Chiara obbedì. Sentì il freddo del pavimento sulle ginocchia, l’aria accarezzarle i capezzoli già induriti. Quando fu davanti a lei, Valeria le infilò due dita tra le labbra, costringendola a succhiarle con lentezza.
“Sei la mia puttana creativa, lo sai?” sussurrò. “La tua arte nasce da questo.”
Poi, con una mano dietro la nuca, la spinse a terra, la sollevò per i fianchi e la penetrò da dietro con un colpo lento, profondo, inesorabile. Chiara gemette forte, le mani premute contro il parquet, mentre Valeria iniziava a muoversi dentro di lei con un ritmo calcolato, come una musicista che conosce a memoria lo spartito del corpo.
“Guarda quel muro,” ordinò, “e immagina la tua prossima opera. Voglio che venga mentre la crei nella tua mente.”
Ogni affondo era più violento, eppure preciso. Le mani di Valeria le stringevano i fianchi, la schiena, la facevano tremare. Poi si chinò su di lei, le afferrò un capezzolo tra i denti, mentre continuava a scoparla senza pietà.
“Chiedimelo,” sussurrò tra i morsi. “Chiedimi di farti venire.”
“Fammi venire… ti prego… fottimi ancora… non fermarti…”
La voce di Chiara era rotta, un grido soffocato dal piacere. E Valeria, senza una parola, cominciò a toccarla, il dito medio sulla sua clitoride bagnata, con movimenti rapidi e mirati.
L’orgasmo esplose come un fulmine. Un grido, un tremito, poi la caduta. Chiara si afflosciò sul pavimento, il corpo scosso dai brividi, mentre sentiva ancora Valeria dentro di lei, lenta, a godersi le ultime contrazioni del suo piacere.
Ma non era finita.
Valeria la sollevò, la fece sedere sul letto, le aprì le gambe e cominciò a leccarla senza pietà. Era un’estasi prolungata, lenta e devastante. La sua lingua non lasciava tregua, e Chiara si sentì scivolare di nuovo verso l’orlo, urlando e contorcendosi tra le coperte di lino.
Quando il secondo orgasmo la travolse, sentì le lacrime pizzicarle gli occhi. Non era solo il corpo. Era l’anima a cedere.
Restarono nude, abbracciate, per lunghi minuti. La luce delle candele disegnava curve e ombre sulle loro pelli sudate.
“Questa notte,” disse Valeria sfiorandole le labbra, “tu non hai creato arte. Sei diventata arte. Carne, colore e orgasmo.”
Chiara non rispose. Si voltò verso di lei, le baciò il petto, leccandole piano un capezzolo duro come la punta di un pennello.
“Posso restare fino all’alba?”
“Puoi restare quanto vuoi,” rispose Valeria. “Ma domani... sarò io a venire da te. E mi dipingerai. Con la lingua.”
Sorrisero. Il sesso non era finito. L’arte neppure.
Era solo l’inizio di una mostra privata, senza vernissage, senza pubblico. Solo corpo, desiderio, e colore.
Altre storie in Racconti erotici lesbo