Nodi di seta - Veneto Trasgressiva

L'arte, si sa, è capace di assumere le forme più disparate, di nascondersi negli angoli più impensati della vita, di vibrare nell'aria come un'eco lontana che attende solo di essere ascoltata. Serena, con i suoi trentatré anni, era un’illustratrice freelance che di quella eco aveva fatto la colonna sonora della sua esistenza. Ogni sua opera era un frammento d’anima, un grido sussurrato su carta, un modo per rendere visibile l’invisibile.
In una calda giornata di maggio, durante una convention artistica a Cagliari, Serena vagava tra tele intrise di colore e sculture che sembravano respirare. Cercava ispirazione, ma non immaginava che l’avrebbe trovata in un incontro inaspettato.
Keiji era un artista anche lui, ma del corpo. Giapponese, elegante, enigmatico. Aveva fatto della disciplina dello shibari una forma di poesia. Per lui, ogni nodo era una parola, ogni corda una frase che raccontava una storia di fiducia, bellezza, abbandono.

Si conobbero per caso, davanti a un quadro astratto. Serena, rapita dai colori, non notò subito la presenza di Keiji. Fu la sua voce a catturarla, bassa e profonda, con un accento appena percettibile.
— "L'arte è ovunque, ma forse la forma più pura è quella che si manifesta nel silenzio tra due corpi."
Serena lo guardò, sorpresa. Lui le sorrise con la calma di chi non ha bisogno di dire molto per farsi capire.
— "E tu come la vedi, l’arte?"
— "Vieni con me, e te lo mostrerò."
La condusse in un loft poco distante, uno spazio dove la luce filtrava morbida tra le tende bianche e il tempo sembrava sospeso. Al centro della stanza, alcune corde pendevano come linee tracciate nell’aria. Nessuna imposizione, nessuna promessa: solo la possibilità di esplorare un’altra forma d’espressione.
Con delicatezza, Keiji iniziò a legarla. Ogni nodo era un gesto di cura, ogni intreccio un invito a lasciarsi andare. Serena sentiva la tensione sciogliersi, le incertezze evaporare. Era come se quelle corde non la trattenessero, ma la liberassero.

Il silenzio tra loro era pieno. I respiri si allineavano, i corpi comunicavano in una lingua antica, fatta di sguardi e piccoli movimenti. C’era contatto, intimità, ma nulla era volgare. Era una danza, una messa in scena dell’abbandono fiducioso e della scoperta reciproca.
Quando infine Keiji la liberò, Serena rimase tra le sue braccia, tremante non per paura, ma per l’intensità di ciò che aveva vissuto. Non avevano bisogno di parole per sapere che qualcosa era cambiato.
Si sdraiarono insieme sul pavimento, e in quel momento di quiete, Serena capì: l’arte non era solo nei suoi disegni, nei pigmenti e nei bozzetti. Era anche nel corpo che aveva osato sentirsi, nel cuore che aveva osato aprirsi, nella pelle che aveva raccontato una nuova storia.
— "Questo è solo l'inizio," sussurrò Keiji.
E lei gli credette.
Tra corde e sospiri, tra sguardi e vibrazioni, Serena e Keiji continuarono a conoscersi. Ogni incontro diventava una tela nuova, ogni gesto un colore inedito. Perché l’arte, quella vera, non sempre si appende a una parete. A volte, si vive.

Nei giorni successivi, Serena non riusciva a staccarsi dal pensiero di lui. Le sue mani, le corde, il silenzio carico di significato. Non era solo l’atto in sé a tormentarla dolcemente, ma ciò che aveva smosso dentro di lei. Un senso di risveglio. Di riscoperta.
Nella sua mente, Keiji era diventato come un tratto deciso su una tela bianca: impossibile da ignorare. Continuava a disegnare, sì, ma ogni linea le sembrava più viva. Era come se il suo corpo, dopo quella notte, ricordasse qualcosa che la mente non sapeva ancora tradurre.
Quando lui le scrisse — poche parole, solo un indirizzo e l’ora — non servivano spiegazioni. Serena si preparò in silenzio, indossando abiti leggeri, come se avesse paura che troppi strati potessero spezzare la magia.
Il loft era lo stesso, ma sembrava diverso. Le luci erano più soffuse, l’aria più calda. Keiji l’attendeva scalzo, i capelli raccolti in un nodo disordinato. Non le disse nulla. Le si avvicinò lentamente, come si avvicina un artigiano a un materiale delicato.

Con un gesto lieve, le sfiorò il mento. Il tocco era quasi inesistente, eppure dentro Serena qualcosa si accese. Era la prima volta che si sentiva così vulnerabile… eppure potente.
Keiji la fece sedere su un tappeto morbido, circondandola con la sua presenza più che con le braccia. Parlò sottovoce, quasi per non spaventare quella parte fragile di lei che stava fiorendo:
— "Lo shibari non è controllo. È fiducia. Tu mi concedi il tuo corpo… ma io ti restituisco la tua essenza."
Serena chiuse gli occhi, lasciando che il suo respiro si sincronizzasse a quello di lui. Sentì le corde accarezzarle le braccia, le spalle, i fianchi. I nodi prendevano forma con lentezza. Non c’era fretta. Ogni passaggio era una dichiarazione, ogni tensione una carezza.
Quando fu sospesa, non completamente, ma abbastanza da perdere il contatto con il pavimento, Serena sentì una scarica. Non era solo fisica. Era emotiva. Si sentiva esposta, nuda nel senso più profondo, e tuttavia piena. Intera.
Keiji si avvicinò e posò le labbra sul suo collo. Un bacio lieve, come un soffio di vento. Poi un altro, più deciso, tra la clavicola e il seno. Ogni contatto era un invito a sentirsi, non solo a essere toccata. Serena lasciava cadere ogni resistenza, affidandosi al momento come si affida il proprio volto all’acqua prima di immergersi.

La tensione aumentava, ma non era impaziente. Era come un crescendo musicale, una melodia che saliva d’intensità senza mai spezzarsi.
Quando Keiji la liberò dalle corde, non le tolse solo un legame fisico. Le sciolse anche qualcosa dentro. La posò su un futon, i loro corpi vicini, ma non ancora intrecciati. Si guardarono, e il desiderio non era fame. Era rispetto. Era desiderio di condivisione.
Lentamente, Serena si arrampicò su di lui, i capelli sciolti che le cadevano sulle spalle. Le loro pelli si sfioravano con una riverenza quasi sacra. Ogni gesto era una scoperta, ogni sussurro una promessa. Lui le accarezzò la schiena, le labbra appena dischiuse che cercavano le sue. Quando si baciarono, fu come se tutte le corde annodate in lei — quelle della vergogna, della paura, della distanza — si fossero finalmente sciolte.
Fecero l’amore in silenzio, come si danza in un sogno lucido. Non servivano gemiti né parole. Bastava il suono dei loro respiri, l’onda ritmica dei corpi, il battito sincronizzato dei cuori.
Serena si sentiva viva come mai prima. Ogni centimetro del suo corpo era consapevole, risvegliato. Quando raggiunse l’apice, non fu solo piacere: fu catarsi.
Dopo, rimasero abbracciati. Nessuno dei due parlò. Ma in quell’abbraccio c’era tutto: il rispetto, il desiderio, la promessa di altre notti, forse anche di qualcosa di più.
Serena chiuse gli occhi contro il petto di Keiji. E per la prima volta, da molto tempo, si sentì al sicuro.

Le settimane passarono come in un sogno. Serena e Keiji si cercavano come due elementi chimici in perenne reazione. Ogni incontro era un rito: la preparazione lenta, lo scambio di sguardi, il silenzio carico di attese. Non c’era routine tra loro, ma una continua esplorazione.
Serena si accorse che stava cambiando. I suoi disegni erano più audaci, più profondi. Era come se Keiji avesse liberato una parte di lei che non osava nemmeno guardare, una parte fatta di desiderio e coraggio. Ma anche di dolcezza e consapevolezza.

Una sera, rientrando a casa, trovò un pacco ad attenderla. Nessuna firma, nessun biglietto. Solo una scatola nera e una rosa bianca. All’interno, un kimono in seta rossa, morbido come un bacio. E un nodo di corda, già intrecciato, pronto.
Capì subito. Keiji la stava invitando. Ma quella sera sarebbe stata diversa.
Quando arrivò nel loft, lo trovò vestito di scuro, seduto su un tatami, gli occhi chiusi come in meditazione. Intorno a loro, candele accese, corde disposte con cura, e una bottiglia di sake.
— "Sei pronta a lasciarti andare fino in fondo?" chiese lui, senza aprire gli occhi.
Serena annuì. Non aveva più bisogno di parole.
Keiji si avvicinò e la spogliò lentamente, facendo scivolare il kimono come acqua tra le dita. La guardò a lungo, come se stesse memorizzando ogni dettaglio del suo corpo. Poi la fece inginocchiare, e iniziò la legatura.
Quella notte, i nodi erano più complessi, ma anche più delicati. Le corde scivolavano sul suo corpo come carezze, avvolgendola e scoprendola allo stesso tempo. La sospese in posizione orizzontale, come una scultura appesa nel vuoto. Era fragile e potente, un’opera d’arte viva.

Keiji si avvicinò, il viso sfiorando il suo ventre, le mani che tracciavano linee invisibili sulla pelle. Ma poi si fermò. La osservò un istante, con uno sguardo serio, quasi solenne.
— "Stasera voglio mostrarti qualcosa che ho tenuto solo per chi è pronto. Per chi non cerca solo piacere… ma verità."
Serena lo guardò, il cuore che accelerava.
Lui le tolse lentamente la benda dagli occhi — quando l’aveva messa? Non lo ricordava. Era entrata in uno stato di trance, quasi. Davanti a lei, alle sue spalle, un grande specchio.
E nel riflesso… un’altra donna.
Seduta con grazia, silenziosa, la osservava. Bellissima, orientale come Keiji, avvolta in un kimono identico al suo, ma nero. I suoi occhi erano calmi. Non c’era gelosia, solo una strana complicità.
— "Lei è Yumi. La mia compagna. La mia prima musa. E stanotte… sarà anche la tua."
Serena ebbe un brivido lungo la schiena. Non era spavento. Era la vertigine di chi si affaccia su qualcosa che non ha mai osato immaginare. Non rispose. Non ce n’era bisogno.
Yumi si avvicinò lentamente. Le sue dita erano leggere, quasi eteree. Accarezzò i nodi, li studiò, li toccò come si accarezza uno spartito musicale. Poi sfiorò Serena. Prima una spalla, poi la curva del seno. Nessuna fretta. Nessun dominio. Solo una danza.
Keiji rimase a osservare, poi si unì a loro. E fu come se tutte le barriere crollassero. I corpi si intrecciarono senza fretta, con rispetto, con desiderio. Le mani di Keiji e Yumi si alternavano sul corpo di Serena come strumenti diversi di una stessa melodia. La lingua di Yumi cercava la sua, le dita di Keiji le tracciavano sentieri lungo la schiena, mentre le corde si tendevano appena, aumentando il piacere.
Serena si perse. E si ritrovò.

Non era più una donna con due amanti. Era un’anima che si lasciava sfiorare da altre due, in un cerchio perfetto. Le venne da piangere, tanto era forte la sensazione di appartenenza, di accoglienza, di bellezza.
Quando il piacere esplose dentro di lei, fu come un’esplosione silenziosa, un incendio nel vuoto. E mentre il corpo tremava, le mani di Yumi la stringevano, mentre Keiji la baciava sulla fronte come si bacia una verità appena svelata.
La mattina dopo, Serena si svegliò avvolta in due braccia: quelle di Keiji e quelle di Yumi. Il sole filtrava tra le tende, disegnando linee leggere sui loro corpi.
Non c’erano parole. Solo respiri.
E in quel silenzio, Serena capì: la vera arte non si crea con le mani. Si crea con il coraggio di lasciarsi vedere. Di essere toccati. Di sentire.
E lei, finalmente, sentiva.










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