Gli occhi nella stanza - Veneto Trasgressiva

Alessio, con la macchina fotografica appesa al collo, si aggirava tra le stanze del casale umbro immerso nelle colline di Perugia, cercando la luce perfetta, l'inquadratura che avrebbe dato anima alle foto del matrimonio. Il sole pomeridiano filtrava obliquo tra le persiane, disegnando arabeschi dorati sul pavimento in cotto. Era un giorno come tanti, uno di lavoro, finché non si ritrovò davanti a qualcosa d'imprevisto: una libreria girevole, socchiusa, che celava l’ingresso a una stanza segreta.
Spinto dalla curiosità e da un fremito inspiegabile, la aprì. Dentro, la penombra era tagliata da fasci di luce riflessi da una cupola di specchi. Al centro della scena, come una visione, c’era Giada, l’escort perugina dal look punk, completamente nuda. La sua pelle chiarissima contrastava con il rosso cupo delle tende, e i suoi capelli blu elettrico, raccolti in due codini ribelli, incorniciavano un viso da bambola sporca, sensuale e selvaggia.

Alessio rimase nell’ombra, senza fiato, il cuore che gli martellava in petto. Guardava Giada accarezzarsi lentamente davanti allo specchio a due vie, ben consapevole di essere osservata. Le sue dita scorrevano lungo il corpo, sfiorando i seni piccoli e duri, scendendo tra le cosce già umide, aprendosi con naturalezza sulla sua figa depilata, lucida di eccitazione.
Era uno spettacolo pensato per chi stava dall’altra parte dello specchio, ma Alessio si sentiva parte di quella scena, il cazzo che gli premeva duro contro i pantaloni. Iniziò a toccarsi, senza quasi rendersene conto, seguendo il ritmo delle carezze di Giada. Era una danza segreta, un filo di desiderio che li legava senza parole.

Poi, con un gesto teatrale, Giada si girò verso di lui. Lo aveva sentito. Lo aveva voluto. Senza alcuna sorpresa nei suoi occhi, gli fece cenno di avvicinarsi. Alessio si mosse come ipnotizzato, attratto da lei come da una forza animale. Quando fu vicino, Giada si inginocchiò, gli abbassò i pantaloni e prese in bocca il suo cazzo gonfio, le labbra che lo avvolgevano lente, con maestria. La guardava dal basso verso l’alto, gli occhi fissi nei suoi mentre lo succhiava a fondo, facendolo tremare.
Poi si alzò, si voltò e si appoggiò allo specchio, offrendo il culo perfetto, provocante. "Prendimi," disse con voce roca.

Alessio la penetrò da dietro con una lentezza feroce, affondando dentro di lei mentre le mani le stringevano i fianchi. Ogni colpo faceva sobbalzare il suo corpo contro il vetro, creando riflessi e giochi di ombre che li moltiplicavano.
"Fottimi più forte," sussurrò Giada, la voce spezzata dal piacere. Lui obbedì, spingendola al limite, fino a farla urlare. Ma non era finita. Giada si voltò di scatto e si lasciò cadere su di lui, cavalcandolo con un’intensità disarmante. Le sue mani sulle spalle di lui, le cosce che schiaffeggiavano i fianchi. Lo dominava con il corpo e con lo sguardo, sfidando i misteriosi spettatori dietro lo specchio.

Alessio non riusciva a trattenersi, ma voleva sentirla venire prima. Le trovò il clitoride con due dita, lo massaggiò con movimenti precisi, circolari, mentre lei si muoveva rapida, famelica. Giada venne con un grido selvaggio, il corpo inarcato, il respiro spezzato. E proprio allora Alessio la seguì, svuotandosi dentro di lei con una forza che gli fece quasi perdere i sensi.
Rimasero abbracciati sul pavimento, ancora ansimanti. Lei gli sfiorò il viso con le dita e gli sussurrò: “Sei stato il miglior spettatore di sempre.”
Alessio sorrise, ancora scosso dal piacere. “E tu la performer più incredibile che abbia mai fotografato.”
Nelle settimane successive, ogni volta che sfogliava le immagini del matrimonio, Alessio tornava con la mente a quella stanza nascosta, a Giada, a quella performance erotica vissuta in un casale antico, dove il desiderio e l’arte si erano fusi, creando una memoria indelebile. Un segreto umido, pulsante, bruciante.

I giorni passarono, ma il ricordo di quella scopata nello specchio non abbandonava Alessio. Ogni volta che rivedeva Giada, il suo cazzo reagiva prima ancora della sua mente. Fu lei a scrivergli per prima, con un messaggio breve, criptico:
“Stessa stanza. Stessa ora. Porta solo la macchina fotografica. E un paio di manette.”
Non serviva altro. Alessio tornò in quel casale in un pomeriggio d’estate, quando il caldo sembrava sciogliere la pelle. La libreria si aprì come la prima volta, e lei era lì, ad aspettarlo. Nuda. Solo una maschera veneziana sul viso, e stivali alti fino al ginocchio. L'aria sapeva di incenso, sudore e sesso.
Giada si avvicinò lentamente. Gli tolse la macchina fotografica dal collo, e gliela mise in mano. “Riprendimi mentre ti faccio venire voglia di svenire.” Gli morsicò il labbro, poi si inginocchiò senza dire altro.
Lo spogliò con calma, assaporando ogni centimetro di pelle, baciandolo tra le cosce prima ancora di toccargli il cazzo. Ma quando lo prese in bocca fu senza pietà. Lo succhiava con movimenti profondi, le labbra tese, la lingua a premere sulla punta, poi giù fino alla gola. Alessio tremava, costretto a concentrarsi per non venire troppo presto. E intanto scattava. Foto su foto. Lei inginocchiata con il cazzo in bocca, con lo sperma che le colava tra le labbra e lo sguardo che sfidava l’obiettivo.

“Voglio essere la tua pornostar personale,” sussurrò leccandosi le dita sporche di saliva e pre-sborra. “Ma ora voglio che mi leghi.”
Con le manette in pelle che aveva portato, Alessio le immobilizzò i polsi dietro la schiena. Lei si voltò, porgendogli il culo e le labbra già gonfie, pronte, aperte. Non c’era più dolcezza, solo fame. Lui la prese da dietro con rabbia, le mani che le afferravano i fianchi, spingendo dentro con forza. I loro corpi sbattevano l’uno contro l’altro, il suono della carne bagnata che si scontrava si mescolava ai gemiti sempre più disperati di Giada.
“Fammi male,” ansimò lei, “scopami come se non ci fosse un domani.”
E Alessio lo fece. Le tirò i capelli blu, la scopò senza pietà mentre lei gemeva e si lasciava andare, il viso contro lo specchio, le guance rosse, il respiro appannava il vetro. Poi si inginocchiò dietro di lei, e le allargò le chiappe per infilare la lingua dove nessuno era mai arrivato con quella fame. La leccava fino a farla tremare, le dita che intanto tornavano sulla figa, veloci e precise.

Quando lei esplose in un orgasmo violento, il suo corpo si piegò come un'onda, e Alessio la prese di nuovo al volo, sollevandola sulle ginocchia. Giada si sedette sul suo cazzo e iniziò a cavalcarlo come una dannata, le manette ancora ai polsi, il sudore che colava tra i seni, la bocca socchiusa, il viso stravolto.
Ogni spinta era più selvaggia della precedente. Lei venne di nuovo, urlando, e lo sentì venire dentro di lei con un grido soffocato e profondo, le mani che le affondavano nei fianchi, come se volesse farsi inghiottire per sempre.
Rimasero fermi così, stretti, esausti e feroci, in un silenzio fatto di pelle e piacere. Lei si voltò verso di lui, ancora legata, e sorrise.
“Dovremmo farlo ogni settimana,” disse, con la voce roca.
Alessio annuì, mentre la guardava ancora con la macchina al collo. “Finché avrò un obiettivo e un cazzo duro, ci sarai tu davanti.”

Era passata una settimana esatta. Alessio aveva contato i giorni, le ore, i minuti. Non vedeva l’ora di tornare lì, nel casale dove il sesso con Giada era diventato qualcosa di diverso da tutto ciò che avesse mai vissuto: più vero, più viscerale, più sporco e più puro al tempo stesso.
Questa volta non ricevette un messaggio. Solo una busta di carta nera, infilata sotto la porta del suo studio fotografico. Dentro, un biglietto scritto a mano:
“Arriva vestito da prete. Non fare domande. Entra e obbedisci.”
Nel fondo della busta, una chiave: era quella della stanza segreta.
Arrivò al casale che il sole era già calato. La campagna umbra brillava di silenzi e ombre. Alessio indossava una tonaca nera, lunga fino ai piedi. Sotto, nient’altro.

Entrò nella stanza. Luci basse. Incenso. La cupola di specchi rifletteva già un’atmosfera da delirio. Giada lo aspettava in ginocchio, nuda, con un collare di cuoio al collo e una croce d’argento infilata tra le labbra come un bavaglio. La sua pelle brillava d’olio. Attorno a loro, candele accese e un materasso nero al centro della scena. Sembrava un rituale.
Ma non erano soli.
Seduto in poltrona, dall’altra parte dello specchio, c’era un uomo. Alto, elegante, sui cinquanta. Camicia sbottonata, sigaretta accesa. Lo osservava. Era uno spettatore. O forse un regista. Non disse una parola.
Giada parlò con voce roca, sottomessa, ma con quella solita scintilla negli occhi: “Padre, ho peccato. Ho toccato il mio corpo. Mi sono aperta davanti agli occhi di sconosciuti. Chiedo… penitenza.”

Alessio sentì il cazzo pulsare sotto la tonaca. Si avvicinò e le sollevò il mento. “Non sei pentita abbastanza. Devo… purificarti.”
Giada gemette. Il gioco era cominciato.
Lui la fece sdraiare a pancia in giù, la legò con corde sottili, lasciandola aperta e vulnerabile. Il suo culo perfetto, tondo, tremava a ogni respiro. Prese una candela accesa e lasciò cadere gocce lente di cera calda tra le sue scapole, scendendo fino alla fessura tra le cosce. Lei si contorceva, bagnatissima, bava e piacere che le colavano dalle labbra.

Alessio scattava foto e allo stesso tempo la toccava. Inserì lentamente un plug anale, piccolo e lucido, facendolo ruotare tra le dita. Poi glielo spinse fino in fondo mentre con l'altra mano la penetrava due dita alla volta. Giada urlò, il corpo che cercava sempre di più, come se non bastasse mai.
Lo spettatore tossì appena. Stava godendo anche lui. Si toccava con calma, senza imbarazzo. Il suo sguardo fisso su Giada.
Alessio la liberò. Le fece inginocchiare sul materasso e le fece ingoiare il suo cazzo già duro, spingendole la testa avanti e indietro mentre la chiamava “peccatrice” e “puttana”. Lei sembrava impazzire da quanto si bagnava. Poi la prese da dietro con violenza, sbattendola forte, così forte che le urla di Giada rimbalzavano tra gli specchi.

Ma non bastava.
Lo spettatore si alzò. Era nudo sotto i pantaloni. Alessio gli lanciò uno sguardo, poi guardò Giada. Lei annuì.
“Posso...?” chiese l’uomo.
Giada si voltò, sporca di sudore e piacere, con la voce spezzata. “Guardami mentre mi fai tua.”
L’uomo si mise dietro di lei. Alessio la teneva per i capelli, facendole leccare le dita mentre l’altro la penetrava piano, poi sempre più forte. Alessio non si era mai eccitato così tanto nel vedere una donna essere presa da un altro, davanti a lui, mentre la guidava, la sottometteva. Giada veniva in continuazione, il corpo in preda a scosse e urla, sudata, distrutta, divina.
Quando Alessio si sdraiò sotto di lei e lei lo cavalcò con l’altro ancora dentro da dietro, fu come esplodere. Un doppio orgasmo, caldo, grondante, selvaggio. Sembrava una messa nera. Una comunione di carne e sborra.
Poi, il silenzio.

Lo spettatore si rivestì in silenzio. Si avvicinò ad Alessio. Gli porse un biglietto da visita.
“Complimenti. Hai talento. Se vuoi lavorare nel mio club a Berlino… chiama questo numero.”
E se ne andò.
Giada rimase sul materasso, ancora ansimante, ancora nuda. Si voltò verso Alessio.
“Te l’ho detto… il sesso è arte. E tu sei diventato il mio artista preferito.”
Lui rise, l’accarezzò. “E tu la mia ossessione.”
Ma quando si voltò per prendere la macchina fotografica… era sparita.
Sul pavimento, solo la croce d’argento.
Giada lo guardò. “Non portarla con te. Non servono prove. Solo ricordi.”
E poi lo baciò. Un bacio lungo, profondo, finale.

Due giorni dopo, Alessio tornò al casale. Ma la stanza segreta… non c’era più. Nessuna libreria girevole. Solo pareti spoglie. Come se niente fosse mai esistito.
Da allora, di Giada non ebbe più notizie. Nessun messaggio. Nessuna traccia.
Solo una cartella segreta sul suo computer, con centinaia di foto che non aveva mai scattato. Scatti perfetti. Scatti di loro due. Dentro lo specchio.




















































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